Repertorio informatizzato delle fonti documentarie e letterarie della Sardegna

Repertorio informatizzato delle fonti documentarie e letterarie della Sardegna

Secolo XV – XXXVIII

L’Arcivescovo di Sassari scrive a certo Cathazolo in Bonifacio di Corsica, narrandogli quanto egli avea udito di bocca del Conservatore di Aragona, alloggiato in sua casa, riguardo ai dritti, libertà e privilegi che il Re di Aragona accorderebbe ai Corsi se la detta terra di Bonifacio gli prestasse obbedienza e scuotesse il giogo genovese di San Giorgio, e lo incarica di farlo sapere ai suoi, ed ai loro comuni amici ed aderenti.

(1460. – 20 Luglio).

Dagli Archivi di S. Giorgio in Genova, sala di Cancelleria, Bonifazio, Filza I (1).

Venerabilis et in Christo karissime filj etc. Venuto a mia noticia uno bando fatto et gridato per tutto lo regno di Sardigna lo quale dixe che siano pigliati corssi et bonifacini cum tutte robe et mercantie de le quale siano confischate alla Regia corte li due tertij et laltro tertio sia dato allo accusatore et se questi tali corssi et bonifacinj non averano roba la corte gli ha promisso libre X per ogni testa (2). E sentiendo per la venuta de lo Signor principe primogenito Daragona in questo regno (3) la cosa pegiorando andarà più innanci et che tali principij a le volte prestano occasione a multi inseparabili inconvenienti che più fiate veneno per la non penssata. Condolendomi de tali principij tanto per respetto di quella povera terra di Bonifacio quanto per respetto delli amici che vi tenemo (4) so stato cum lo Conservatore che posa in casa nostra et porta certe commissioni per tutti questi Regni Daragona (5) volendo pur sentire dal dicto Conservatore si tali principij se podiano remediare et ello mj a risposto che non salvvo cum uno remedio zo è che Bonifacio como è tenuto di justitia venga alla obedientia alla sacra Real Magestà Daragona (6). Non emperò cussi stretto alle bandere como ogi lo teneno jenovesi per San Georgi (7) ma cum quelli medesimi privilegi capituli et libertay alloro concessi per januesi. Et anco più che como lo terreno di Bonifacio sia molto sterili et la terra faza poghi hominj che la Magestà di re Daragona desse provisioni perpetua a XX6 o XXX case di Bonifacio et alloro descendenti atale de cento ducati boni et atale di cento ducati turghi secundum la discretione et conditione delli personj ogni anno securati bene sopra la maioria di Sassarj et altre intrate della regia corte in lo capo di Loghudoro (8). Et più ancho che li salti et terre di Longosardo se distribuyriano intra bonifacini et ad alcuno dilloro datte in Baronja alcune terre et vassalli in Sardigna (9). Et più anchora che tutti bonifacinj et habitanti in Bonifacio per tutti li regni Daragona zò è Aragona, Cathalloynia, Valentia, Maiorcha, Sardigna, Corssica et Cicilia et ancho per tutto lo Reamen di Napoli seryeno franchi per tucte le loro robe et merchantie de ognj diritto proveniente alla Regia Corte et cum questo modo bonifacinj essente riffatti et ben trattati non porrieno esser que fidelli servj et violenti partiali alla casa Daragona (10). Io sentendo questo parllare se gli dixj se questo diciva cum pura voluntà o burllate mi rispose che non lu diciva se non cum vero et sano proposito et non burlando (11) si che de questo tal parlare ne fazo aviso a voy et alli amici nostri cum la presente. Hec et alia sapienti pauca (12). Ex Sassaro XX Iulij 1460.

Totus vester in cunctis

A. Archiepiscopus Sassariensis

et turritanensis manu propria.

(a tergo)   …     discreto viro et

…     leudo filyo domino

…     Cathazolo in Bonifa

(1) Debbo la notizia e la copia esattissima del presente documento e degli altri che si leggono appresso sotto l’anno 1480, riguardanti la congiura di Bonifacio per la consegna al Vicerè di Sardegna di quella terra e fortezza, al mio egregio collega Luigi Tommaso Belgrano, diligente ed instancabile raccoglitore ed illustratore delle Antichità genovesi, il quale arricchì con pregiate pubblicazioni la storia del suo paese nativo, fra le quali meritano speciale menzione i Documenti inediti riguardanti le due Crociate di S.  Ludovico IX Re di Francia (Genova, 1859), e il Registro della Curia Arcivescovile di Genova, inserto nel Tom. II; Part. II degli Atti della Società Ligure di Storia Patria (Genova, 1862).
(2) Sicchè gli accusatori o denunziatori dei Bonifacini e dei Corsi erano certi di aver sempre da guadagnare: se i denunziati possedeano qualche cosa, gli accusatori ne guadagnavano il terzo; e se non possedeano nulla, il tesoro regio pagava agli accusatori lire dieci per ogni testa, ossia per ciascun denunziato. Di questi rigori del Re di Aragona Don Giovanni II contro i Bonifacini e i Corsi, che dimoravano in Sardegna, si trova, non la ragione, ma la causa nelle sue pretese sopra la Corsica, e specialmente sulla terra e castello di Bonifazio tenuto dall’Ufficio di S. Giorgio per la repubblica di Genova. Già fin dall’anno precedente (1459) avea segnato un decreto assai strano ricordato dal Fara (De Re. Sard. Lib. IV, pag. 361), col quale omnes Genuenses, Narbonenses (fautori del Visconte di Narbona), Corsos ac etiam Sardos ab oppido Algherii, et Algherensium nuptiis coerceri iussit; e ciò evidentemente, affinchè i Genovesi, i Narbonesi, i Corsi e i Sardi, che gl’impedivano il quieto e integrale possesso della Sardegna, e l’annessione della Corsica, non mescolassero il proprio col puro sangue catalano-algherese devoto alla sua Corona. Ma ciò non bastando, si vede da questa lettera che il bando dei Corsi dalla Sardegna nel 1860 fu generale (Ved. infr. Cart. n.° LII).
(3) Il principe Carlo, che poi morì nel 1461.
(4) L’Arcivescovo di Sassari avea dunque in Corsica degli amici i quali parteggiavano come lui pel Re di Aragona.
(5) Il Conservatore, di cui parla l’Arcivescovo, e che alloggiava in casa sua, ossia nel suo palazzo arcivescovile di Sassari, dovea essere il Conservatore generale, poiché si dice nella lettera, ch’egli portava certe commissioni per tutti questi regni di Aragona, e perché altronde l’uffizio del Conservatore speciale in Sardegna, che si era quello di curare e riscuotere tutte le imposte e rendite regie, e di pagare le somme dovute dal tesoro pubblico, era stato abolito a petizione dello Stamento militare nel Parlamento celebrato in Cagliari dal Re Don Alfonso di Aragona nel 1421; nella qual petizione (cap. 8, fol. 4) un tale uffizio fu chiamato distruttore, anzi che conservatore (pus propri destruidor que conservador de las rendes Reals); e si chiese perciò che il Conservatore allora in carica non potesse uscire dall’isola senz’aver prima soddisfatto tutti i creditori dello Stato.
Il Conservatore di Aragona poi, di cui si parla nella presente Carta, era probabilemente Pietro Torrelles, il quale con tale qualità sottoscrisse nel precedente anno 1459 la Prammatica del Re D. Giovanni II (Ved. sopr. Cart. n.° XXXVI, fol. 73); discendente forse, ma diverso dall’altro Pietro Torrelles, che sottoscrisse nel 1410 l’Atto di pace di S. Martino con Leonardo Cubello marchese di Oristano (Ved. sopr. Cart. n.° V, fol. 34).
(6) Si chiamava giustizia il consigliare altrui di sottrarsi alla legittima obbedienza del suo vero signore (la repubblica di Genova) per assoggettarsi a un Sovrano straniero (il Re di Aragona).
(7) Li jenovesi per san georgi; cioè a dire: la repubblica di Genova per mezzo dell’ufficio della Banca di S. Giorgio.
(8) Si faceano dal Conservatore promesse di privilegi, di libertà e di pensioni annue, assicurate sulle rendite del Comune di Sassari e del Capo di Logudoro, onde allettare i Bonifacini più influenti a porsi sotto il giogo Aragonese.
(9) Si prometteva inoltre la concessione e divisione gratuita delle terre e dei boschi di Longonsardo (in Sardegna) ai Bonifacini che aiutassero l’impresa secreta, e dicasi meglio la congiura di togliere a Genova la terra e il castello di Bonifazio, e di porli in mani del Re Don Giovanni II di Aragona. Anzi ad alcuni di loro si prometteano feudi e baronie nella stessa isola di Sardegna. A chi confronti questi fatti e questa lettera dell’arcivescovo di Sassari coi fatti riferiti nella lettera che il Doge Pietro di Campo Fregoso scrisse quattro anni avanti (15 settembre 1456) a Don Alfonso V Re di Aragona, fratello primogenito e predecessore di detto Re Don Giovanni II, riportata dal Giustiniani (Annal. Ianuen., Lib. V ap. Muratori, Rer. ital. script.), apparirà chiaro che i Sovrani Aragonesi non rifuggivano dai mezzi meno onesti e più odiosi per togliere alla repubblica di Genova le loro legittime possessioni nell’isola di Corsica.
(10) Beneficiati in tal modo (dicea l’Arcivescovo, riportando le parole e le promesse del Conservatore), i Bonifacini non potranno essere che fidelli servj, et Violenti Partiali (cioè forti, valorosi fautori) della Casa di Aragona.
(11) L’Arcivescovo di Sassari, edotto dalla esperienza, se non dubitava, non confidava nemmeno troppo nella fede Aragonese; e perciò, vedendo così larghe profferte, dimandò al Conservatore se le facesse da senno o come egli si esprime con ingenua semplicità, se questo diciva cum pura voluntà o burllate (lo dite davvero o burlate); e n’ebbe in risposta (mi rispose) che non lu diciva se non cum vero et sano proposito et non burlando.
(12) Questa conclusione latina hec et alia sapienti pauca indica chiaramente che in Bonifacio vi era un partito aragonese di cui era capo, o uno dei principali, N. Cathazolo, al quale la lettera è diretta, e che l’Arcivescovo di Sassari, suddito del Re di Aragona, comunicava da Sardegna con questo partito. La qual cosa e le trame che già da due anni si ordivano per togliere la Corsica ai Genovesi, sono pur comprovate da parecchi documenti inediti recentemente scoperti nell’Archivio di S. Giorgio di Genova, e comunicatimi gentilmente dal suddetto mio collega Luigi Tommaso Belgrano. Consistono questi negli Atti del processo instrutto nel 1458 da Giovanni Lercari Governatore di Corsica per l’ufficio di S. Giorgio contro certo Stefano di Leodio della Pieve di Vico, al quale si imputava di essersi partito secretamente dall’isola per Roma con secrete commissioni pe’ ribelli alla repubblica Genovese, i quali dimoravano in detta città e in quella di Napoli; di essere quindi ritornato a Corsica con molti di questi ribelli e con lettere dategli dagli altri ch’erano rimasti nelle predette due città; di aver consegnato tali lettere alle persone alle quali erano dirette, e di averle anche pubblicate in Pieve di Vico; e fra le medesime esservene particolarmente cinque che gli erano state date da Iocanto di Lecha, da Rolando di Ornano, dal giudice d’Istria, da Lanfranco di Gualagno, e da Scuderaccio della Pieve: che queste lettere contenevano eccitamenti alla ribellione contro Genova, ed a metter l’isola in mani e potere del Re di Aragona; ch’egli non le avesse subito presentate a detto Governatore, anzi non si fosse presentato nemmeno egli stesso; e che di più fosse entrato con dieci suoi compagni, a mano armata, in Pieve di Pino, dove fu catturato e gli furono sequestrate quattro lettere dei ribelli residenti a Napoli. – Maestro Stefano Leodio (Magister Stephanus de Leodio), che si trovava rinchiuso nella Rocca di Calvi, ebbe in comunicazione gli Atti di questo processo (scritti in latino) addì 12 luglio 1458, e d’ordine del Governatore Lercari gli fu intimato di rispondere entro tre giorni alle accuse fattegli. Ed ei vi rispose dicendo, essere bensì stato a Roma: averlo colà pregato certa Refatta donna corsa di scrivere al figlio dimorante a Napoli, affinchè ritornasse a Roma ed esortasse a di lei nome gli altri ribelli di restituirsi a Corsica e all’ubbidienza del Magnifico Ufficio di S. Giorgio di Genova; avere egli eseguito tal commissione, ed averne anche parlato con Biancone di Lesia, il quale da Napoli era venuto a Roma e aveagli consegnato quattro lettere a lui dirette da detta città. (Sono queste le quattro lettere sequestrategli all’atto dell’arresto, le quali vanno unite al Processo, e sono segnate con le iniziali A, B, C, D. La prima è di Lanfranco di Gualingno; la seconda di Iocanto de Leca; la terza di Scoderaccio de la Pieve; e la quarta di Forguccio da Sancta Maria de Ornani; e hanno tutte la data del  15 aprile 1458). Soggiunse non parlarsi in tali lettere di ribellione o di cosa alcuna pregiudicievole all’Officio di S. Giorgio, ma di cose puramente private; e di cose private aver pure parlato con certo Giudicello Matei de Brando recatosi a Roma: che Scuderaccio da la Pieve, per sue esortazioni, andò a Roma coll’intenzione e proposito di restituirsi a Corsica: che delle dette quattro lettere soltanto trovategli addosso egli fu apportatore: che una sola, quella cioè di Lanfranco di Gualingno, fu da lui letta nella piazza di Pieve di Vico, presente Bernabò o Cianciono di Gualagno: che la lettera di Iocanto di Lecha (la seconda, lett. B), appena la ebbe in Roma (ritenutane copia), la mandò al Magnifico Ufficio di S. Giorgio: che poi la presentò (cioè la copia), con due altre, al Nobile Ilario (Nobili Ilario) Luogotenente in Bastia (in Bastita): che le mostrò inoltre al Luogotenente al di là dei monti (ultra montes): e che infine egli era bensì andato a Pieve di Pino (venit in Plebe Pini), ma con soli tre uomini ed un ragazzo (et uno ragazo): che fra tutti, e per propria difesa, portavano una lancia e due verghe: che il porto di queste armi non era stato mai proibito per lo avanti dagli altri Governatori: che avviandosi egli co’ suddetti uomini e ragazzo alla chiesa di S. Raineri, incontrò per via e per caso Maestro Carlotto Notaio di Sant’Antonino con sei uomini in compagnia: e che il solo Maestro Carlotto fece al strada con lui: essere questa la verità sub reservacione etc. (sic). – Gli Atti del processo sono contrassegnato con la iniziale E.
L’Arcivescovo Sassarese e Turritano che si sottoscrive con la sola iniziale A., era Antonio Cano. Egli nacque in Sassari, fu Abate di Saccargia, poi Vescovo di Bisarcio, e quindi, nel 1448, creato Arcivescovo della Sede Sassarese e Turritana. Fu personaggio assai eminente per virtù e per sapere, e sostenne per molti anni la carica di Oratore del Re Don Alfonso V di Aragona. Scrisse la vita dei Santi martiri Turritani, Gavino, Proto e Gianuario, che andò perduta, e convocò nel 1463 un Concilio provinciale, nel quale, fra le altre cose, fu decretato a unanimità di suffragi, che il Metropolita di Sassari e di Torres, e i Vescovi suoi suffraganei non dovessero dipendere dal Giudice di appellazioni e gravami, creato in Sardegna dal Pontefice Pio II con Bolla del 1 luglio 1459 (Cart. N.° XXXVI preced.). Ved. Tola, Dizion. Biogr. dei Sardi Illustri, Vol. I, pag. 167.